La Corte Costituzionale torna a esaminare la legittimità del sistema di rivalutazione delle pensioni adottato nel 2022 e 2023. In discussione l’assenza di progressività e possibili rimborsi ai pensionati.
TRENTO, 12 agosto 2025 – Torna sul tavolo della Consulta la questione della rivalutazione delle pensioni introdotta dal governo Meloni per il biennio 2022-2023. Un ricorso presentato da un ex dipendente pubblico, sostenuto da altri pensionati, contesta la mancata progressività del meccanismo che ha ridotto gli aumenti legati all’inflazione, colpendo soprattutto chi percepisce trattamenti più elevati. La Corte Costituzionale aveva già respinto un’istanza simile nel 2024, ma il Tribunale di Trento ha deciso di rimettere il tema all’attenzione dei giudici, ritenendo necessario un nuovo esame.
Il meccanismo contestato e le fasce di rivalutazione
Nel 2022 e nel 2023 la perequazione automatica delle pensioni si è basata su percentuali decrescenti applicate all’intero importo del trattamento, anziché solo sulla quota eccedente ciascuna soglia, come avviene con gli scaglioni fiscali. Le aliquote stabilite erano: 100% fino a 4 volte il minimo, 85% fino a 5 volte, 54% fino a 6 volte, 47% fino a 8 volte, 37% fino a 10 volte e 32% oltre tale soglia. Quest’ultima percentuale è scesa al 22% nel 2024.
Secondo il ricorso, questo metodo avrebbe penalizzato in maniera non proporzionata i pensionati con trattamenti mediamente alti, senza rispettare il principio di progressività sancito dalla Costituzione. In concreto, un pensionato con oltre 6.000 euro al mese ha visto applicata la riduzione su tutto l’assegno, e non soltanto sulla parte che supera la soglia stabilita.
Il precedente giudizio della Consulta, concluso con un nulla di fatto, aveva considerato il taglio un sacrificio contenuto e giustificato dall’equilibrio di bilancio. Questa volta, però, la strategia difensiva punta più sulla tecnica di calcolo che sull’entità della decurtazione.
Possibili conseguenze di una decisione favorevole
Se la Corte Costituzionale dovesse accogliere il nuovo ricorso, si aprirebbe la possibilità di rimborsi per i pensionati che hanno subito la riduzione. Gli importi da restituire dipenderebbero dall’entità degli assegni e dagli anni interessati, ma il totale potrebbe essere significativo per la finanza pubblica.

L’inflazione nel 2022 era all’8,1% e al 5,4% nel 2023, contro lo 0,8% del 2024. Questo rende il biennio contestato particolarmente rilevante: le differenze di rivalutazione hanno inciso in modo concreto sulle somme percepite.
La decisione non arriverà a breve: i giudici dovranno esaminare le memorie, ascoltare le parti e valutare se il meccanismo adottato possa essere ritenuto conforme ai principi costituzionali. Fino ad allora, la vicenda resta sospesa, con centinaia di pensionati che attendono di capire se, per loro, potrà arrivare un assegno arretrato.